Studiare una figura come quella di Andrés Segovia significa porsi delle domande che vanno al di là delle considerazioni storiche e che sconfinano spesso in questioni extramusicali.
L’idea che il grande chitarrista abbia legato il suo nome a quello del suo strumento in modo indelebile è di per sé fatto notevolissimo, se consideriamo che a ottenere lo stesso risultato nella storia furono uomini come Paganini o Listz.
Luigi Attademo
Andrés Segovia attraverso la sua biografia: l’ambiente formativo e i suoi rapporti con Miguel Llobet
La sua eccezionalità rende pertanto difficile poter disgiungere il mito dall’opera, soprattutto se pensiamo al breve lasso di tempo che ci separa dalla sua scomparsa.
Se leggiamo le autorevoli testimonianze dei suoi migliori allievi, scritte in occasione del centenario della nascita del Maestro, percepiamo, accanto all’esigenza di testimoniare il magistero di Segovia, la presenza ineludibile del suo carisma. Riferisce Alvaro Company, descrivendo il primo incontro con Segovia, che “ascoltandolo suonare [...] ci trovammo immersi nella sua musica; la sua poetica mi offriva aspetti che scardinavano i miei concetti estetici e stilistici [...] cosicché concettualmente in certi casi avrei addirittura respinto certi modi di fraseggiare se non mi avessero già allora affascinato per il loro senso di intima poesia”.
Parole che spiegano bene quale tipo di persuasione esercitasse Segovia su chi lo ascoltava, cosicché è impossibile per l’intera prima generazione di allievi poter avviare un’analisi della sua opera a partire dalla distanza che sarebbe necessaria all’indagine storica.

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Un ringraziamento particolare a Javier Riba per le foto di M.Llobet.

Pertanto non stupisce riscontrare, al di là di qualche video, dell’aneddotica e piccole pubblicazioni celebrative, l’assenza di un vero studio storico e analitico sulla tecnica e sull’interpretazione di Segovia, nonostante egli abbia iniziato la sua attività didattica fin dagli anni ‘50.
L’approccio critico mostrato occasionalmente da alcuni suoi allievi (per esempio, nella discografia ragionata di Ruggero Chiesa, che è nel contempo una critica dell’interpretazione) evidenzia una volontà di emancipazione che non sembra maturata da un reale distacco derivato da un’operazione di storicizzazione; al contrario, sembra essere scaturita da una necessità di indipendenza da un magistero che investe non solo l’aspetto didattico, ma un modo di vedere la musica e la vita.
E’ dunque necessario considerare Segovia nella sua importanza storica, come un interprete che porta con sé la sua storicità e che la tramanda nella sua opera. Quindi il corpus dell’opera segoviana (le registrazioni in primo luogo, ma anche le revisioni, le trascrizioni, le composizioni) non rappresenta un esempio da imitare o da disconoscere, bensì un oggetto di studio di fronte al quale è necessaria una posizione di discontinuità rispetto all’atteggiamento apologetico che certamente non rendono giustizia alla complessità dell’artista e dell’uomo.
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Descrivere il milieu culturale nel quale si muoveva Segovia è complesso perché risulta dalla confluenza di dati biografici, storico-estetici e musicali. Più sinteticamente ci preoccuperemo di indicare quale contesto culturale si trova a vivere negli anni della sua formazione.
Fino ai trent’anni abbiamo un quadro abbastanza chiaro che si evince dall’autobiografia, scritta nel 1976, in cui sono ricostruite le tappe della sua prima formazione fino all’anno 1920.
I suoi primi contatti con la chitarra risalgono all’infanzia.
E’ importante considerare che il giovane Segovia fu suggestionato dalla chitarra in quanto strumento della musica popolare andalusa: il rapporto con il flamenco fu come un rapporto tra padre e figlio, segnato da amore e odio. Granada prima - in questa città si registra l’esordio
concertistico di Segovia nel 1909 - e poi Cordoba furono le città che influenzarono la formazione del giovane Segovia.
Non secondario è il fatto che a Cordoba coltivò un importante legame con la giovane Laura Montserrat, dalla quale Segovia riferisce di aver avuto modo per la prima volta di apprezzare le grandi pagine della musica classica e romantica della letteratura pianistica. Segovia ha dunque accesso ben presto ai classici della musica e non attraverso il parziale punto di vista delle trascrizioni amatoriali, bensì direttamente durante la frequentazione di casa Montserrat.
Through Laura I came to understand the type of discipline needed to study a large and complex instrument like the piano. Carefully, I would follow her fingers to discover the degree of indipendence, strength, and speed and developed (sic). Back in my room I would try to apply my observations to the guitar.
E’ nel 1913 che Segovia ha il suo primo incontro con l’ambiente musicale di Madrid, dal quale ebbe motivi di dispiacere ma anche importanti stimoli. Fu in questa città che il grande liutaio Manuel Ramirez gli regalò la sua prima chitarra, con la quale il giovane artista stabilì una felice simbiosi che certamente contribuì a sviluppare la sua ricerca timbrica.
Nel programma del concerto che tenne presso l’Ateneo di Madrid s’incontrano opere di Beethoven, Schumann, Tárrega, Chopin, Debussy, Tchaicovskji e una sua trascrizione di Sevilla di Albeniz. Un programma in tutto simile a quelli presentati da Tárrega o Llobet, con una differenza importante: Segovia da subito non si inserisce nella linea dei chitarristi votati alla composizione di opere per chitarra da eseguire nei propri concerti.

E’ un interprete puro. Preferisce piuttosto cimentarsi in sue trascrizioni anche di pezzi non frequentati normalmente - è innovativa la sua trascrizione del Secondo Arabesco di Debussy.
Dell’anno successivo è lo spostamento a Valencia e il contatto con un ambiente chitarristico totalmente dominato dalla figura di Tárrega - Segovia riferisce che se non si era allievi di Tárrega lì non c’erano molte speranze di essere ascoltato. In questa città avviene l’importante incontro con la figura dominante dell’epoca, ovvero Miguel Llobet, che sin dal principio si mostrò disponibile verso il giovane andaluso.
Con lui Segovia intraprese il viaggio per Barcelona, dove ebbe modo di conoscere altri personaggi del mondo chitarristico che si radunavano nella latteria di León Farré. Barcelona per Segovia fu un luogo cruciale: qui incontrerà Gaspar Cassadó, violoncellista e compositore, la cui famiglia aveva una certa influenza nell’ambiente della città catalana, e Paquita Madriguera, appena quindicenne, che diverrà anni dopo sua seconda moglie.

Nell’ambiente di Barcelona riesce a ottenere consensi e a perseguire l’obiettivo che Llobet aveva sempre considerato impraticabile: dimostrare che la chitarra suonata in un certo modo poteva aspirare anche a contesti più grandi di quelli a cui era destinata in ambito tarreghiano.
L’amicizia con Llobet fu molto importante anche dal punto di vista musicale, sia per il patrimonio di conoscenze che questi trasmise a Segovia - ricordiamo l’incontro privato durante il quale quest’ultimo imparò a orecchio alcune trascrizioni che Llobet non aveva mai passato sulla carta - sia perché egli non rappresentò mai un ostacolo alle ambizioni di ribalta del giovane andaluso.
A Barcelona Segovia incontra anche Jaume Pahissa, compositore catalano che scrisse per primo nel 1919 una composizione per chitarra intitolata Canço en el mar. Tre anni più tardi sarà composta la Catalanesca da Gaspar Cassado, il quale inaugura,
con questa breve composizione, il suo catalogo di opere per chitarra, sviluppato negli anni durante l’amicizia con Segovia.
Il contatto con sempre maggiori personalità, del mondo chitarristico prima (come Llobet) e musicale poi (Cassadò, Casals, Falla, Pahissa), spiega come Segovia cerchi di portare progressivamente la chitarra e se stesso fuori dai circoli di aficionados tanto ricchi di attenzione per la chitarra quanto avulsi dal contesto musicale.
Segovia, da autodidatta, fu sempre animato da grande curiosità culturale verso le altre arti. Conobbe pittori e letterati e approfondì il suo sapere in tante direzioni, come è attestato dalla presenza dei più diversi volumi in ciò che resta della sua biblioteca.
Fu a tutti gli effetti un uomo del suo tempo, intriso di quella cultura tardoromatica che vedeva l’atto creativo come un gesto dello spirito e che credeva profondamente nella religiosità del fatto musicale come luogo della relazione con un’alterità trascendente. Illuminante a tale proposito è il racconto che Segovia fa nella sua autobiografia del suo primo incontro con Alfred Cortot, di cui divenne amico in seguito, a dir poco rivelativo.
The concert was my first religious experience with music as a member of an audience. [...] Cortot immediatly captivated the audience. [...] I still remember vividly tha energy, mixed with fleeting tenderness, with which he played Listz’s St. Francis de Paul Walking on the Waters. The somber beautiful song which is the theme of the work, sustained at times by firm solid chords, at others by fighting the surging waves of scales and arpeggios, roused echoes in the soul.

In effetti, il modo di suonare di Cortot, come quello di tanti altri grandi interpeti di quella generazione, affondava le radici in un’idea di musica fortemente legata alla religiosità, nel senso etimologico del religare, cioè di fare da tramite fra mondo e trascendente.
Quindi è facilmente comprensibile che Segovia, stimolato in questa direzione, abbia assorbito a pieno la dimensione mistica dell’evento musicale, mettendo da parte qualunque possibilità di razionalizzarne le implicazioni.
Da questo deriva la centralità del suono, quale medium fisico attraverso cui avviene il rimando al transcendente che rappresenta il senso ultimo di quel dato sensibile che è l’atto del suonare. Se tracciamo un parallelo tra le registrazioni di Cortot, Casals, Segovia, Kreisler e altri interpreti della medesima generazione, notiamo più di una similitudine e, soprattutto, quanto la ricerca sul suono diventi l’elemento centrale nell’interpretazione. Il suono è il veicolo della personalità, sul suono si concentra tutto l’esprimibile.
A questa concezione romantica dell’arte e dell’artista, si affianca in Segovia un atteggiamento tradizionalista che induceva a guardare con sospetto la modernità.
CONTINUA