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DO-Ò-RRE E L'IRREALE IN MUSICA

Spunti e riflessioni sulla (ancora) attuale didattica musicale


E la saggezza di una simile prescrizione non può essere di certo circoscritta alla pratica ritmica ed a quella della lettura cantata, come riportato nel citato metodo di Hindemith.


Anzi è lo spunto per poter estendere ad ogni campo dell'apprendimento musicale la fantasia, la ricerca in sé e l'espressione della propria creatività, ottusamente bandite soprattutto nei conservatori di musica italiani.


A queste affermazioni solitamente si replica rammentando la presenza nei Conservatòri del corso di Jazz e la annessa pratica dell'improvvisazione, della “composizione estemporanea”, prevista nel corso di Didattica della musica (corso che oscilla intorno alle 15 ore in totale…); pallide aperture queste ad un modo di fare musica che dovrebbe far perno sull'essenza più profonda del musicista come di ogni artista, quella dell'immaginazione. I compositori che oggi si riproducono con pedissequa dipendenza dallo spartito, da Bach (ma anche molto prima di lui) in poi, si sono formati con l'ascolto e con la pratica dell'improvvisazione (sarebbe forse il caso di ricordare in merito che non è un'invenzione del Jazz!).


“Nell'epoca barocca ci si aspettava che gli interpreti aggiungessero delle note a quelle del compositore e perfino che ravvivassero un brano con delle dissonanze improvvisate. All'inizio del XVII secolo Girolamo Frescobaldi apprezzava che gli organisti concludessero le sue toccate nel punto che preferivano o che le smembrassero e ne riassemblassero il materiale in altri modi.” (da Philip Ball – L'istinto musicale).


E ancora: “in un trattato indiano sulle arti dello spettacolo, il Natja Shastra, si legge:” una melodia senza ornamenti è come una notte senza luna, un fiume senz'acqua, una pianta senza fiori, o una donna senza gioielli”.


La musica classica occidentale si è sviluppata in modo eccezionalmente rigido, mentre molte altre tradizioni, “classiche” o “folk”, lasciano molto più spazio all'inserimento di invenzioni spontanee durante l'esecuzione”. La pratica degli ornamenti, comunemente “abbellimenti”, è oggi svilita a interpretazione visiva di grafemi, e cristallizzazione di una pratica fondata sulla consapevolezza armonica e sull'invenzione.


Edizioni musicali e docenti ottusi prescrivono la realizzazione degli abbellimenti distinguendo gli stessi dal resto della notazione musicale soltanto sul piano grafico/visivo! Stessa cosa dicasi per la pratica del “basso cifrato” o “basso continuo”, in epoca barocca realizzato grazie alla perizia dell'esecutore, ma che doveva essere alla portata di ognuno, o della tristemente defunta pratica dei partimenti, ulteriore invito alla pratica improvvisativa, sorretta da una robusta consapevolezza armonico/contrappuntistica.





















Oggi il docente di canto o di strumento si occupa della costruzione di una buona tecnica per i propri studenti, si limita ad indicare spartiti non troppo manomessi dai revisori, ideale se edizioni urtext. Compito dello studente sarà quello di decodificare tutti i segni previsti dai parametri del suono e tradurli in musica nel modo più attendibile.


Non c'è poi da sorprendersi tanto se una simile didattica sforni nel migliore dei casi cloni inespressivi – ma veloci ed esatti - che contribuiscono a seppellire quanto ancora possa vivere della musica del passato e a confinare nel ricordo quello che sbocciava nel loro pensiero prima di iscriversi a scuola di musica.


Gli strumenti di cui dispongono le nuove generazioni possono favorire l'apprendimento attraverso l'ascolto guidato, l'allenamento della memoria uditiva, la pratica creativa; presupposto imprescindibile per gli insegnanti di canto e di strumento al di fuori del quale si potrà continuare a proporre solo noia.


La pratica vocale e strumentale in pubblico non dovrà arginarsi al saggio di fine d'anno, ma dovrà essere quotidiana: in ogni istituto dovrà essere a disposizione degli studenti un'aula nella quale ognuno o ogni gruppo possa esibirsi per poter allenarsi a fare musica in pubblico nel controllo della propria emotività, dominando le consuete frustrazioni che conseguono all'impatto con presenze “estranee”, ed esercitare anche in un simile contesto la propria creatività.


“Le illimitate risorse dell'espressione strumentale e vocale risiedono nella deviazione da ciò che è puro, esatto, perfetto, rigido, omogeneo e preciso. La deviazione dall'esattezza è, nell'insieme, il mezzo per la creazione del bello, per la comunicazione dell'emozione.”

(C.E. Seashore)

Bruno Benvenuto


di Bruno Benvenutobruben@inwind.it

Hermann von Helmholtz, dopo approfondite ricerche sulla struttura dell'orecchio medio, scrisse nel 1863 “La percezione dei suoni come base fisiologica della teoria musicale”, una delle ultime testimonianze di una scuola fondata sulla percezione uditiva, prima che nel'900 e specialmente in Italia tutto si perdesse nella follia del solfeggio parlato e nella didattica dell'astrazione.

Oggi sappiamo, anche grazie alle acquisizioni della psicologia cognitiva, della psicologia sperimentale, delle neuroscienze, che la musica può essere assimilata ad un linguaggio e che il comportamento del cervello in presenza di musica, in tempo reale o differito, si comporta come in quello, sia in fase di apprendimento, che di impiego consapevole. “L'apprendimento della musica, come quello di qualsiasi altro linguaggio, dipende essenzialmente dalla memoria, dal ricordo dei suoni già uditi e dal loro rapporto coi precedenti e coi susseguenti” (Juliette Alvin).


La logica non può che ricondurci a ciò che la musica è sempre stata, una forma di comunicazione basata sul suono. Il principale, quasi unico canale di apprendimento, è l'ascolto. “Ad un bambino non si insegna a parlare, ma si comunica parlando con lui” (Edwin E. Gordon). La musica non s'impara attraverso la lettura e lo studio della grammatica: questi campi di applicazione possono intervenire solo dopo una prolungata pratica acquisita attraverso l'ascolto e la formazione del pensiero, espresso in forma consapevole attraverso la scoperta del suono e l'esigenza di metterlo in atto.


















“Lo strumento migliore di cui dispone un musicista è l'orecchio. Ogni buon musicista deve avere l'”orecchio interiore”, l'immaginazione uditiva, la capacità di sentire la musica con la mente” (A. Schoenberg).


Da Hindemith a Kodaly, Willems, Orff, a Roberto Goitre, Carlo del Frati, Lars Edlund, Bjorn Roslund, Alberto Odone riceviamo indicazioni sull'esatto percorso da seguire, basato sulla logica, sulla percezione uditiva, sul coinvolgimento corporeo, sul corretto impiego della memoria, sulla partecipazione creativa del discente, stimolata da contributi creativi del docente. Nei Conservatori  di musica del resto d'Europa tutto converge su un unico contenitore, grossolanamente ma indicativamente denominato “Ear Training”.


Anche nel nostro Paese, nonostante il caos, si affiancano ad orientamenti ottusamente conservatóri, vedute volte all'apprendimento diretto all'ascolto ed alla creatività quali canali privilegiati.


La stragrande maggioranza dei docenti, in qualsiasi istituzione di ogni ordine e grado, cade nel paradossale equivoco di perseverare nell'impiego di metodi e libri di testo non soltanto antiquati, ma fondati su presupposti teorici errati.


La giustificazione che quasi tutti i docenti adducono, quella di dover fornire in tal modo ai molti studenti sforniti delle rudimentali basi musicali lo strumento necessario per impadronirsene, si rivela in tutta la sua perversione: si pensi ad esempio al “tempo di base” 4/4 (?), alla denominazione delle figure di durata e rispettivi valori (“la semibreve vale 4/4”…!) alla misteriosa quanto dogmatica distinzione tra tempi semplici e composti basati sulla magica frazione 3/2, alla “differenza” tra consonanza e dissonanza, alla lettura ritmica “agevolata” dalla prescritta suddivisione…..


“L'antica musica cólta europea non ha conosciuto altri tipi di battuta che non quelli a due o a tre, vale a dire – in valori moderni – le battute in 2/4 e 3/4, i loro raddoppi o le loro suddivisioni in ottavi. (Béla Bartók – Scritti sulla musica popolare).


“Un metro composto può essere costruito sulla base di due o tre elementi, composti a loro volta ciascuno sulla base di moduli binari o ternari”. (Paul Hindemith – Elementary Training for Musicians).


“I ritmi che sono più naturali all'orecchio umano sono dati dalle formole binarie e ternarie. Se analizziamo i periodi musicali o le misure o i tempi  delle misure stesse noi otteniamo sempre una divisione di due o di tre parti.

È ben vero che le misure esistono anche in forma quaternaria; ma se si pensa che questa misura, come abbiamo detto altrove, non è che il raddoppiamento di quella a due tempi, si dovrà ammettere che esse derivano da un ritmo binario o ternario.” (E. Pozzoli – Sunto di Teoria musicale” § XVIII - 1903). (Le nuove edizioni del Metodo Pozzoli, conseguenti alla morte dell'autore, non contengono più questa affermazione, né questa impostazione metodologica fondamentale! N.d. r.)


“La classe tradizionale di teoria e solfeggio, in cui non si ascoltava mai una nota eccetto gli accordi al pianoforte dell'insegnante, deve sparire! Queste classi sono tanto sterili quanto la suddivisione della materia in mille canali separati! Un insegnante pigro accamperà sempre questa scusa: come si può articolare il lavoro di una classe di principianti che non sanno ancora né cantare né suonare decentemente?



Alberto Odone: Solfeggio o musicalità?

La risposta è semplice: Attività musicale. Attività per l'insegnante come per lo studente. Al docente suggeriamo preliminarmente di non impartire mai alcuna nozione senza una dimostrazione pratica di scrittura e di esecuzione vocale o strumentale.

Quanto allo studente si raccomanda di non accettare alcuna affermazione senza averla verificata attraverso esempi pratici, e nello stesso tempo di non cominciare a scrivere, cantare o suonare un esercizio prima di averlo perfettamente inteso in sede teorica. …l'immaginazione degli studenti sarà costantemente stimolata dalla frequente prescrizione: “inventare esercizi simili””.

(Paul Hindemith – op. cit.).