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ZORAN DUKIC: Bach - Piazzolla

GuitarCoop


Il Postmodernismo ci mostra come sia impossibile interpretare la realtà con occhi che si dimostrano incapaci di mettere a fuoco quelle verità che non possiamo essere in grado di verificare.


Il postmodernismo, mettendo in crisi il razionalismo e le incrollabili certezze della modernità, se da un lato induce ad un recupero di valori del passato, contemporaneamente, porta ad avere una visione divaricata delle cose, ad una mancanza di fiducia nei dogmi e delle verità preconfezionate.


In questo primo scorcio di XXI secolo galleggiamo sul terreno ideale del postmoderno, con le incertezze che ad esso si accompagnano, con le sue sfumature, con i blurring of genres che lo caratterizzano.

Il postmoderno è il pensiero filosofico della frammentazione, del bricolage intellettuale, del “disprezzo della narrazione lineare, la commistione delle forme e la sperimentazione nel linguaggio”, come sosteneva Barry Lewis.


Il CD che sto ascoltando, ripetutamente, mi induce inevitabilmente a calarmi in un giuoco filosofico (ed autoanalitico) estremamente attachant, un esercizio di astrazione e di liberazione da quegli stereotipi che vogliono che l’arte sia affettata e catalogata, inesorabilmente, in periodi, generi, tipologie.



Il contrappunto di fronte al Tango, la polifonia di fronte all’armonia, il Barocco di fronte al 900: dei dialoghi impossibili? Direi di no. Zoran Dukic ci regala una grande interpretazione che ha come mezzo conduttivo una sorta di suite di undici brani, da ascoltare tutta d’un fiato, senza sosta. Un tipo di ascolto che, difficilmente, può lasciare impassibili.

Il Cd ci viene presentato da un’introduzione filosofica, che ci descrive la messa in crisi, da parte del filosofo scozzese David Hume, dell’idea di nesso di causalità.


Questa riflessione iniziale mi induce a ripensare ai termini di giustapposizione e di contrasto, in una visione laterale e, per l’appunto postmoderna, di queste opposizioni: opposizione intesa come arricchimento, elogio della reattività, liberazione dagli stereotipi, tabula rasa dei cliché dell’ascolto della musica per generi...


Se volessimo continuare con questo gioco interpretativo potremmo affermare, prendendo spunto dalle stesse interessanti note del libretto, che, in questa anomala suite, la musica di Bach rappresenti la causa prima, lo sfondo telato e dai colori tenui e meditativi su cui si stagliano le pennellate decise, cretose e, spesso, radicali della musica di Piazzolla.

Dukic é in grado di interpretare queste esigenze di libertà da preconcetti in modo davvero entusiasmante, con balzi plastici tra le raffinatezze più introspettive alla fisicità vitale più estrema.


Nel Largo, tratto dalla Sonata per violino n. 3 in Do, Dukic ci fa subito immergere in un liquido sonoro da cui difficilmente ci si riesce a liberare e del quale, per la durata del Cd, non ci dimenticheremo.


Si tratta di una sorta di “setting” sonoro che rappresenta il punto di partenza e di ritorno di un viaggio estremamente introspettivo.  L’esecuzione é elegante, rigorosa e la sua conclusione sfuma senza nessuna soluzione di continuità, quasi come in una morbida modulazione, verso il secondo brano del Cd, Invierno Porteno, brano che fa risaltare tutta la verve del chitarrista croato. L’andante della Sonata n. 2 per violino riconduce l’ascoltatore nella calma appagata delle certezze per poi, nuovamente, mostrargli il vigore sofferente della vita, con Adios Nonino con le sue iperboli, le sue grida di dolore, i suoi frammenti struggenti.


Il Cd prosegue mantenendo immutata questa formula, con la Sarabande tratta dalla prima Partita per violino che fa da contraltare alla spaventosa Muerte del Angel, vero culmine della suite, apice di modernità, con i suoi ritmi violenti, rumorosi e fragorosi: la divaricazione più assoluta e la maggiore distanza dai colori tenui scelti per rappresentare la musica di Bach.


Seguono la celebre Sarabande tratta dalla suite per violoncello n. 5, un brano che, nel suo disegno monodico, cela preziose polifonie; il Romantico, secondo movimento dei Cinco Piezas, unica opera di questo lavoro originale per chitarra; la siciliana dalla prima Sonata per violino e la Milonga del Angel in cui le tensioni apicali della Muerte del Angel sono oramai in via di dissolvimento.


Qui non c’è più tensione, né più energie vitali e la musica sembra comunicarcelo chiaramente, come se la fine del Cd coincidesse con la fine di un fraseggio musicale.


La suite si conclude con un’altra Sarabanda, dalla Partita per violino n. 2, che dipinge l’ultima sfumatura di colore, ci ricorda da dove questo affascinante viaggio ha avuto inizio, ci avvolge in una sorta di calore, di quiete serale.


È la parabola di una intensa vita vissuta che giunge a conclusione: questa, per lo meno, è l’immagine che suscita in me questa suite e che ho voluto raccontarvi.


Si tratta di un disco pregevole e di un’interpretazione di altissimo livello.



L‘esecuzione di Dukic è sempre raffinata ma, allo stesso tempo energica e travolgente.


Dukic, grazie alla sua straordinaria musicalità, riesce in quello in cui pochi chitarristi riescono: superare le barriere temporali misurandosi con autori divisi da secoli e metterne in evidenza la loro grande musica.


C.P.C

di Cristiano Poli Cappelli