Santa Lucia Luntana

 

di Alessandro Altieri

sandroaltieri@alice.it

Santa Lucia Luntana, scritta, nell’anno 1919, da E. A. Mario – autore che non ha certo bisogno della mia presentazione, in specie (ma non solo!) fra gli appassionati del genere – è dedicata ai tantissimi emigranti che, tra la fine dell’800 ed i primi decenni del ‘900, per un sacco di buonissime ragioni – prima fra tutte sfuggire alle miserrime condizioni di vita che martoriavano, specie al Sud, le loro povere esistenze – decisero, spesso loro malgrado, di sradicare sé stessi, quando non l’intera famiglia, dai poveri paesi di provenienza per salpare alla volta dell’America, nella speranza di incontrarvi miglior fortuna e condizioni di vita un po’ più umane. Chissà che noialtri, nipoti e pronipoti di quella dolente schiera, non dovremmo ricordarci un po’ più spesso (ovviamente fatte le debite eccezioni) di cosa sia la fame e la disperazione, quando sentiamo, oggi così di frequente, bussare alle più periferiche porte del nostro Paese (Lampedusa per citare solo la più frequentata).


Le parole della canzone raccontano, infatti, dello struggente senso di malinconia che afferrava i cuori degli emigranti – in grande maggioranza Napoletani - quando, avviandosi sulla rotta che li avrebbe portati così lontani, a volte in maniera irreparabile, dal loro paese natìo, riuscivano a godere, forse da uno striminzito oblò dell’enorme bastimento che li conteneva, dell’ultimo scorcio del panorama di borgo Santa Lucia; (“ ….. pe’ tramente \ ‘o golfo già scumpare \ e ‘a luna miez’o mare \ nu poco ‘e Napule \lle fa vedè ”) e, col cuore gonfio di tutta una serie di indescrivibili sensazioni che, appunto perché tali la mia modesta penna non è certo in grado di riportare qui, cantavano “…..Santa Lucia, luntano ‘a te \ quanta malincunia.”


Tanta struggente passione non poteva passare inosservata. La canzone fu immediatamente un successo enorme, non soltanto in Italia. Oltreoceano, infatti, laddove appunto si concentrava la stragrande maggioranza dei protagonisti della medesima, divenne una sorta di “song symbol” che rappresentò intere generazioni ed interi quartieri (pensate a Little Italy) coinvolgendo un enorme numero di persone; numeri, questi, che furono così grandi da giustificare, nel 1931, un film tutto americano,  fra i primissimi in sonoro, per la regia di un certo Harold Godsoe, ma girato con un cast interamente italiano, dal titolo, guarda un po’, di Santa Lucia Luntana!


Anche in Italia la cinematografia fu attenta al fenomeno. Infatti, un film\documentario del 1926, dal titolo che, certo, oggi può apparire paradossale per un film muto, Napoli che Canta, girato da Vincenzo Leone, in arte Roberto Roberti, papà di quello che in seguito sarebbe stato il più celebre Sergio, nonostante all’apparenza si presentasse come una semplice celebrazione delle canzoni partenopee, in realtà, attraverso una struggente serie di immagini superbamente girate (splendide specialmente quelle nelle quali possiamo ammirare la Napoli di una volta. E che dire della scena finale?) e dedicate agli emigranti, metteva in luce e pubblicamente denunciava, pur se sommessamente, la piaga dell’emigrazione, assolutamente ignorata o quantomeno sottaciuta dal regime. Il Duce non ne fu entusiasta ed infatti ne vietò la diffusione.


Fortunatamente, grazie ad una signora americana che ne conservava gelosamente una copia e che volle farne dono alla George Eastman House, la quale ne curò in seguito il restauro, la pellicola fu salvata dall’oblio. Il 18 ottobre 2003, la cineteca del Friuli, presentò in anteprima al Teatro Zancanaro di Sacile, il film restaurato “Napoli che canta” nel quale  la grande voce di Giuni Russo, purtroppo scomparsa nel 2004, accompagnò dal vivo tutti i 22 brani inclusi nella "suite musicale” facendo omaggio, con la sua partecipazione al progetto, a tutte le genti e a tutti i popoli costretti ad abbandonare la propria terra martoriata da fame, miseria e dittature.


VAI ALL’INDICE

http://www.dotguitar.it/ewzine/zine/trascrizioni/index.html