Voce 'e notte

 

Buongiorno e bentrovati a tutti quelli che seguono con costanza ed assiduità questa rubrica, e sempre grazie per le numerose, gratificanti, mail che mi indirizzano. Mi impegno pubblicamente a rispondere proprio a TUTTI, anche se magari, a volte, con un po’ di ritardo, a seconda della quantità delle mail e degli impegni del sottoscritto.

La trascrizione che prenderemo in esame questa volta è un lavoro che risale a qualche tempo fa e che mi fu praticamente commissionato da alcune persone a me care. Infatti c’era la necessità di realizzare una registrazione - voce e chitarra – con ampia libertà per quanto riguardava genere e pezzo ma con l’unico vincolo di produrre pure una versione per chitarra sola della canzone scelta.  Fra l’altro ebbi la fortuna ed il modo di consultare la trascrizione realizzata da un amico per un forum al quale mi affacciavo con una certa costanza, (sicuramente con maggior frequenza che oggi!) e che mi “ispirò” la base per il lavoro che vado a proporvi.

Il testo della canzone “Voce ‘e notte” è, per il mio debol parere, la più bella composizione in lingua napoletana di tutti i tempi – almeno, di quelle che io conosco! – e nasce dall’amore “impossibile” dell’autore dei versi (al secolo Eduardo Nicolardi) per la sua, in quel momento giovanissima ed avvenente vicina di casa, Anna Rossi; (siamo nel 1903 circa!)

I genitori della giovinetta, - purtroppo per i ragazzi ma fortunatamente per noi che, anche se per vie contorte, siamo loro debitori di una delle più belle canzoni d’amore di tutti i tempi – avevano deciso per lei un matrimonio di convenienza (all’epoca usava così!) e quindi, allontanando malamente il baldanzoso pretendente che aveva il torto grave di essere lavoratore ma squattrinato, gli preferirono un tale Pompeo Corbera, facoltosissimo cliente settantacinquenne della famiglia Rossi (che commerciava in cavalli da corsa) proprietario di mezza Ischia, con palazzi a Napoli, ville e rustici fuori e tutto quanto di venalmente desiderabile in un “buon partito”.

Hai voglia a piangere, strepitare, ribellarsi al paterno diktat, restare a digiuno fin quasi ad ammalarsi … per la giovane Anna, che ricambiava da lontano gli sguardi furtivi quanto innamorati del suo Eduardo, non ci fu nulla da fare; andò in sposa, di lì a due mesi, al facoltoso vecchietto Corbera, con buona pace delle favolette sull’amore eterno e delle iniziali maiuscole che dovrebbero caratterizzarlo. Subito dopo il viaggio di nozze, che ebbe luogo ad Ischia, presso le proprietà del Corbera, i due “sposini” fecero ritorno a Napoli ed andarono ad abitare in una delle case di lui, in via S. Teresa al Museo (oggi degli Scalzi).

Nel frattempo l’autore dei versi, il nostro Eduardo Nicolardi, svolgeva il suo lavoro di redattore presso il popolare quotidiano Don Marzio e pubblicava componimenti in rima su giornali e riviste dell’epoca. Il papà Francesco, amministratore de “Il Mattino”, avrebbe voluto per il figlio una carriera da avvocato, ma il dna non si modifica se non nel corso di millenni o di ere geologiche, e comunque quasi sempre per ragioni di miglioramento della specie e non a seconda delle circostanze né, tantomeno, delle convenienze sociali!

Per questo motivo Eduardo, deludendo non poco le aspettative paterne, lasciò ben presto gli studi di giurisprudenza per dedicarsi anima e corpo a quella che considerava la sua missione: il giornalismo.

Leggenda vuole che la notte, quando finalmente riusciva a staccare dal suo lavoro di redattore, andasse a passare, accompagnato soltanto dalla sua angoscia disperata, sotto i balconi di un certo palazzo, in via S. Teresa al Museo; una notte più nera e perduta delle altre gli sembrò di scorgere, o vide effettivamente, dietro una finestra, un’ombra che passava furtiva, ma che lui volle pervicacemente immaginare con la mano tesa nel gesto di salutarlo. Fu la goccia che fece traboccare dal suo vaso, evidentemente di Pandora, tutti i mali che lo perseguitavano, tutte le angosce che sferzavano la sua anima al pensiero dell’amata perduta.

Corse al Gambrinus, non troppo distante, in preda ad un vero e proprio delirio creativo, e lungo la strada cominciarono già a prender forma, nella sua mente, i versi accorati e struggenti che oggi tutti noi conosciamo. Appena giunto al celeberrimo locale ordinò un caffè, si sedette ad un tavolo e li redasse di getto, piangendo sulla sua triste sorte e sul suo amore ormai senza speranza.

Qualche tempo dopo il M° de Curtis ebbe l’occasione di leggere quei versi, ne restò evidentemente folgorato e, dopo molte insistenze con l’autore che li considerava troppo personali per acconsentire alla pubblicazione, ottenne l’autorizzazione a musicarli, componendo la melodia che oggi tutti apprezziamo e conosciamo e che rispetta fedelmente il pathos e la malinconia suggeriti dalle rime.

Così le edizioni Bideri poterono, nel 1904, pubblicare “Voce ‘e notte” (col sottotitolo di canzone appassionata. Vedi foto sotto) con musica di E. de Curtis e versi di C.O. Lardini (anagramma di Nicolardi, evidentemente elaborato dal nostro in un ultimo, disperato tentativo di salvare la privacy) e consegnare al mondo la meravigliosa canzone che sappiamo.

 

di Alessandro Altieri

sandroaltieri@alice.it

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